Il Dr. Randazzo Giuseppe si occupa con discrezione e professionalità della diagnosi e la cura di malattie urologiche e andrologiche presso il suo studio a Bagheria e Palermo.

Le procedure diagnostiche e le cure nel caso vi sia un sospetto di malattie dell'apparato genitale o renale prevedono diversi esami specialistici:


1. Ho visto sangue nelle urine: cosa devo fare?  

La presenza di sangue nelle urine si definisce ematuria e deve sempre essere valutata con grande attenzione, in particolare modo quando il/la paziente vede proprio con i suoi occhi le urine rosse o rosate (macroematuria). Al contrario le urine possono avere un colore sempre normale ma l'esame delle urine può identificare tracce di sangue (microematuria). Bisogna sempre rivolgersi al medico in presenza di ematuria. Le cause più' frequenti comprendono la calcolosi delle vie urinarie, le infezioni ma anche i tumori. Di solito se il sangue si osseva all'inizio della minzione (ematuria iniziale) l'origine dell'ematuria è prostatica; se il sangue si osserva più' al termine della minzione (ematuria terminale) la ematuria ha più' frequentemente una origine vescicale mentre se le urine sono rosse dall'inizio alla fine della minzione si pensa ad una ematuria di origine alta, cioè ureterale o renale. Tipicamente il paziente che riferisce ematuria viene studiato con esami di laboratorio, citologia urinaria, ecografia apparato urinario o cistoscopia flessibile. Si deve sempre escludere la presenza di un tumore delle vie urinarie.

2. Ho visto sangue nello sperma: cosa devo fare?

La presenza di sangue nello sperma, definita emospermia, è quasi sempre indicativa di una infiammazione della prostata (prostatite). Tipicamente si presenta nell'uomo giovane, ma può manifestarsi anche dopo i 50 anni. E' un sintomo che è bene discutere sempre con il medico. La terapia classica è antibiotica, di solito con farmaci chinolonici oppure con cotrimoxazolo che devono essere somministrati a dose piena e per almeno 3-4 settimane. La emospermia può ripresentarsi nel tempo ed in questi casi può essere utile approfondire lo studio del paziente con la risonanza magnetica eseguita con bobina endorettale.

3. Ho fatto l'esame del PSA per un controllo di routine ed è risultato elevato: cosa devo fare?  

Il PSA (antigene prostatico specifico) e' il principale marcatore per il tumore della prostata. Si ritiene oggi che ogni uomo a partire dai 40 anni di età debba eseguire il test del PSA una volta all'anno. La normalità è tipicamente dipendente dall’età del soggetto: sotto i 50 anni si considera normale un PSA inferiore a 1 ng/ml. Tra i 50 e 60 anni si considera normale un PSA inferiore a 2 ng/ml e dopo i 60 anni un PSA inferiore a 3 ng/ml..
Il PSA può alzarsi oltre a questi limiti per una infiammazione della prostata (prostatite), per un ingrossamento benigno (ipertrofia prostatica o adenoma prostatico) o per un tumore.
Se esiste un anche piccolo sospetto di tumore prostatico è necessario eseguire la biopsia prostatica, esame oggi del tutto indolore e che viene praticato in regime ambulatoriale.
E' a mio parere importante eseguire il PSA e farsi visitare una volta all'anno.

4. Ho letto che è importante eseguire l'esame del PSA per la prima volta in età giovanile - a 40 anni. Come mai?  

L'interesse nel dosare il PSA prima dei 50 anni ed in particolare tra i 40 ed i 50 anni di età deriva dal fatto che quasi sempre in questa fascia di età la prostata non è ancora ingrossata e quindi il PSA rispecchia più fedelmente la salute dell ghiandola. Di recente sono stati resi noti i risultati di studio eseguito in Svezia che ha tenuto sotto stretto controllo medico 2000 soggetti maschi dall'età dei 40 anni fino agli 85. Si tratta di una ricerca iniziata alla fine degli anni 60 nella regione di Malmoe, nel Sud della penisola scandinava. In questo studio sono stati individuati coloro che hanno sviluppato un tumore della prostata che ha portato o alla insorgenza di metastasi a distanza o alla morte del paziente. Sono stati quindi recuperati i prelievi di sangue eseguiti 40 anni prima circa in questi soggetti e si è calcolato il PSA. In questo campione di uomini si è visto quindi che se il primo PSA eseguito in età inferiore ai 50 anni risulta essere inferiore a 1 ng/ml il rischio di sviluppare un brutto cancro della prostata sia veramente infinitesimale. Con il progressivo aumento del valore del PSA si osserva un progressivo aumento di rischio di sviluppare un cancro prostatico serio. Sempre lo studio svedese suggerisce che nei soggetti con età inferiore ai 50 anni, un valore di PSA di 2 ng/ml o superiore detta la necessità di tenere il paziente sotto controllo annuale.

5. Quali sono i pazienti a rischio per sviluppare un tumore prostatico?  

I pazienti con familiarità positiva devono essere seguiti con attenzione e secondo qualsiasi linea guida internazionale devono eseguire un PSA ed una visita urologica con esplorazione rettale ogni anno a partire dai 40 anni di età. I soggetti senza familiarità ma con PSA elevato sono per definizione a rischio. Oggi può aiutare anche la esecuzione del PCA3, un nuovo test che si esegue nelle urine del paziente dopo massaggio prostatico. É importante rivolgersi allo specialista preparato che sappia valutare con attenzione il paziente e consigliare al meglio come comportarsi.

6. Sento contestare l’utilità del PSA in quanto spesso identifica un tumore prostatico destinato a non creare nessun danno al paziente e che quindi era meglio lasciare li dov'era.  

Il problema non si risolve suggerendo di non fare il PSA. La verità che io ho imparato nella mia pratica clinica, vedendo in ambulatorio ogni giorno tanti pazienti con malattie prostatiche, è che chi muore oggi per tumore della prostata quasi sempre ha avuto una diagnosi fatta tardi. Molti di questi pazienti mi chiedono: "perché  nessuno mi ha detto di fare il PSA prima? Avrei potuto curarmi in tempo!". Questi dialoghi sono spesso strazianti.
É vero che il PSA non è in grado da solo di segnalarci i cancri più' brutti, quelli cioè che necessitano di essere aggrediti immediatamente. Il PSA segnala anche la presenza di tumori molto piccoli che, ad esempio nei pazienti anziani che hanno di per sè una aspettativa di vita non lunghissima, possono essere solamente sorvegliati senza fare nessuna cura. Sottolineo ancora la necessità di rivolgersi allo specialista competente il quale dovrà valutare: aggressività del tumore, età e condizioni fisiche generali del paziente. Sulla base di questi parametri si devono valutare le possibili opzioni terapeutiche: sorveglianza attiva, radioterapia, chirurgia robotica, terapia medica 

7. In cosa consiste la biopsia prostatica?  

La biopsia prostatica consiste nell'eseguire una serie di microprelievi di tessuto dalla prostata stessa per escludere la presenza di un tumore. Si esegue sempre sotto guida ecografica transrettale e con l'utilizzo di anestesia locale che rende la procedura indolore.
E' importante che vengano eseguiti almeno 14 prelievi prostatici per essere certi di ottenere un "mappaggio" completo della prostata. Il numero dei prelievi dipende anche dal volume prostatico: più' grande e' la prostata maggiore il numero dei prelievi. Nella mia esperienza personale i pazienti eseguono dai 14 ai 24 prelievi, a seconda dei casi. E' importante eseguire una profilassi antibiotica che viene proseguita per circa una settimana. La procedura è quasi sempre eseguita in regime ambulatoriale salvo eccezioni come per i pazienti che utilizzano terapia anti-coagulante e per coloro che necessitano di eseguire la biopsia in narcosi. In questi ultimi casi i pazienti rimangono in ospedale per un giorno.

8. In cosa consiste il PCA3, il nuovo esame che evita le biopsie prostatiche?  

Il PCA3 è un esame delle urine che viene eseguito subito dopo che lo specialista urologo abbia effettuato un massaggio prostatico durante una esplorazione rettale.  L'esame ricerca un particolare gene associato al tumore della prostata. Questo nuovo test non è un sostituto del PSA e non deve essere usato in tutti i pazienti. Ad oggi è dimostrato che questo esame serva in particolare nei pazienti che per un sospetto tumore della prostata abbiano già eseguito una o più' biopsie che siano però risultate normali. Se il paziente continua a mostrare elementi sospetti per la presenza di tumore, prima di eseguire ancora una biopsia può essere utile dosare il PCA3. Se questo risultasse completamente normale, lo specialista urologo potrebbe suggerire di soprassedere alle biopsie.

9. Ho una prostata ingrossata e senza segni di tumore: devo necessariamente toglierla?  

Così ragionavano gli urologi 30 anni fa ma oggi fortunatamente questo non succede più. Una prostata ingrossata presenta una indicazione chirurgica nel paziente che lamenti disturbi urinai ostruttivi e nel quale test specialistici ad hoc dimostrino in modo certo che l'ingrossamento prostatico provochi uno sforzo eccessivo da parte del muscolo vescicale al momento della minzione.
I disturbi più' classici sono la riduzione della forza del getto urinario, la necessità di urinare in più' tempi, lo sgocciolamento al termine della minzione e la incapacità di svuotare completamente la vescica al termine della minzione. Si tenga conto però che abbastanza spesso il paziente non lamenta grandi disturbi pur in presenza di una grande prostata ostruente. L'urologo esperto può in questi casi chiarire la reale condizione clinica del paziente con alcuni esami strumentali, in primis ecografia ed esame urodinamico completo.

10. Sento parlare di laser per la prostata: in cosa consiste?  

Il paziente con un ingrossamento benigno della prostata che determina una ostruzione urinaria che non risponde alla terapia medica può avere una indicazione ad eseguire una terapia chirurgica con laser.
Ad oggi sono disponibili due tecniche : laser a luce verde e laser ad holmio. Entrambe le procedure vengono eseguite con una piccola anestesia loco regionale e senza fare tagli sull'addome ma per via trans-uretrale. Il laser a luce verde riduce le dimensioni della prostata vaporizzando il tessuto. Quasi mai con questa tecnica è possibile rimuovere completamente la parte interna della prostata che causa la ostruzione. Può capitare quindi che il laser verde, soprattutto se utilizzato in prostate grosse e da mani non esperte, risolva il problema solo per 1-2 anni e che dopo il paziente sia obbligato a ricorrere di nuovo alla chirurgia. Un secondo limite è che non viene eseguito un esame istologico del tessuto prostatico perché questo viene vaporizzato e quindi non è analizzabile.
L'intervento con laser ad holmio detto HoLEP (Holmium Laser Enucleation of the Prostate) è a mio parere la soluzione ideale in quanto consente di rimuovere completamente la parte di prostata ostruente (adenoma prostatico) e questo azzera il rischio che l'intervento debba essere ripetuto nel tempo. La prostata rimossa viene esaminata inoltre all'esame istologico e questo permette di identificare eventuali casi di tumore prostatico nascosto.

Tipicamente i pazienti candidati ad eseguire l'intervento di HoLEP entrano in ospedale al mattino a digiuno avendo già eseguito ambulatoriamente gli esami di prepwarazione all'intervento, vengono operati in mattinata e tengono un catetere vescicale, che non causa nessun fastidio, per 24 ore. La mattina successiva viene rimosso il catetere vescicale e dopo circa tre ore, avendo controllato la ripresa della minzione, il paziente può lasciare l'ospedale

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DISFUNZIONE ERETTILE

Persistente o ricorrente incapacità di ottenere o mantenere una erezione peniena adeguata per il completamento della attività sessuale.
La disfunzione erettile si classifica, a seconda dell’eziologia, in forma organica e forma psicogena. La disfunzione è psicogena quando insorge in un paziente senza fattori di rischio particolari, in cui non riusciamo a trovare una causa del problema. Nella maggior parte dei casi, però, la disfunzione è su base organica, su base vascolare.

Epidemiologia
Si stima che circa il 50% 35% degli uomini di 50 anni o più abbia avuto almeno una volta nella propria vita un episodio di disfunzione erettile.

Fattori di rischio

  • Disordini a carico del sistema nervoso centrale o periferico: traumi o patologie che vadano ad agire a carico del midollo spinale, causando un deficit di conduzione nervosa; traumi o neuropatie causanti deficit di neurotrasmissione periferica (diabete mellito, deficit vitaminico, abuso alcolico cronico); da non dimenticare, inoltre, la chirurgia prostatica o la chirurgia rettale, effettuate non utilizzando la tecnica nerve-sparing.
  • Disordini psicologici: tutti i disordini psicologici (in particolare la S. ansioso/depressiva) possono causare od aggravare un deficit erettile.
  • Disordini ormonali che conducano ad uno stato di ipogonadismo.
  • Disordini a carico del sistema cardiovascolare che conducano ad un danno arterioso e venoso (Diabete, Ipertensione, Cardiopatia ischemica, Aterosclerosi sistemica).

Presentazione clinica
La sintomatologia classica del deficit erettile è l’inabilità ad ottenere (deficit erettile di ottenimento) o mantenere (deficit erettile di mantenimento) l’erezione per il completamento dell’attività sessuale.

Procedure diagnostiche

  • Profilo ormonale: indispensabile per escludere la presenza di un ipogonadismo.
  • Il cardine per la diagnosi di un deficit erettile è l’esecuzione di un esame ecografico denominato Power-Color-Doppler Penieno. L’esame consiste in un’eco-color doppler del pene in erezione. L’erezione viene ottenuta mediante l’iniezione di prostaglandine a livello penieno. Con questo esame viene attentamente esaminata l’emodinamica peniena (flussi arteriosi e venosi) permettendo di discriminare tra disfunzione arteriosa (deficit di portata a carico delle arterie cavernose), disfunzione venosa (deficit nel meccanismo venoso che permette una fuga di sangue dal pene) o disfunzione mista.
  • Valutazione delle erezioni notturne: con tale esame vengono valutate le fisiologiche erezioni notturne (principalmente impiegato per escludere un deficit erettile su base psicogena).

Terapia

I pazienti affetti da deficit erettile di tipo vascolare e, in alcuni casi di tipo psicogeno, si possono giovare di un trattamento con i farmaci inibitori dell’enzima fosfodiesterasi di tipo 5 (sildenafil, tadalafil e vardenafil), che potranno essere somministrati secondo la necessità; oppure secondo cadenza giornaliera o settimanale. La condizione necessaria-sufficiente affinché questi farmaci funzioni è che i fasci nervosi responsabili dell’erezione, non abbiano subito danni da chirurgia o traumi pelvici.
I soggetti refrattari a questi farmaci o con danneggiamento a carico delle fibre nervose responsabili dell’erezione, potranno giovarsi di un trattamento con farmacoterapia intracavernosa oppure, secondo la volontà del paziente si potrà optare per una terapia chirurgica del deficit erettile mediante l’impianto di protesi peniene tri-componenti; si tratta di un impianto chirurgico, volto a simulare la fisiologica erezione peniena mediante il posizionamento di due cilindri idraulici intra cavernosi (all’interno dei corpi cavernosi penieni), collegati ad un interruttore (posizionato solitamente all’interno dello scroto) e ad un serbatoio (posizionato intra addominale). All’occorrenza, utilizzando l’interruttore, si provoca la fuoriuscita del liquido dal serbatoio verso i cilindri idraulici 

 

FIMOSI

 

Definizione, diagnosi e sintomatologia

Per fimosi si intende una condizione medica per la quale la pelle che avvolge il prepuzio di uomini non circoncisi non permette di scoprire completamente il glande con il pene in flaccidità. La fimosi può essere di due tipi: congenita o acquisita.

 

Fimosi congenita 

La fimosi è congenita quando il restringimento prepuziale è presente fin dalla nascita. In questo caso l’intervento chirurgico correttivo è consigliabile solo se si tratta di una fimosi serrata e cioè con un prepuzio talmente ristretto da rendere difficile la capacità di orinare liberamente e di effettuare la normale e necessaria igiene.

 

È necessario precisare che tale intervento, attualmente riveste un ruolo minore in quanto l’applicazione locale di pomate a base di cortisone può risolvere il quadro in numerosi casi.

 

Nel caso della fimosi non serrata del bambino non è necessario operare ed il più delle volte si risolverà con una progressiva ginnastica di scorrimento.

 

Fimosi acquisita

Si parla di fimosi acquisita quando il paziente normale in età adulta subisce un processo infiammatorio al glande dovuto ad in infezioni fungine o batteriche che sfocia in una reazione di restringimento del prepuzio. In questo caso è solitamente necessaria la correzione chirurgica.

 

La parafimosi è invece una condizione che può verificarsi nei casi di fimosi non serrata. La forzatura nello scoprimento del glande può causare l’impossibilità di ricoprire il glande con uno strangolamento dello stesso. In questo caso è necessario un intervento d'urgenza.

 

Terapia 

L'intervento chirurgico, nei casi in cui fosse necessario, indicato per la correzione della fimosi è la circoncisione, cioè l'asportazione della porzione eccedente del prepuzio responsabile del restringimento.

 

FRENULO BREVE

La sottile porzione di cute che unisce il glande al prepuzio è chiamata frenulo. Questo è molto sensibile perché ricco di vasi sanguigni e di recettori nervosi. Tale struttura viene sollecitata meccanicamente durante il rapporto sessuale e quindi può essere soggetto a traumi da rottura o lacerazione e provocare dolore e sanguinamento.

La caratteristica anatomica del “frenulo breve” può comportare i seguenti problemi:

  • Fastidioso senso di trazione durante l’erezione
  • Incurvamento verso il basso del pene
  • Eccessiva sensibilità del glande
  • Lacerazione durante il rapporto sessuale

In tali casi è possibile eseguire un intervento di frenuloplastica che consiste nell'incidere trasversalmente il frenulo prepuziale e nel suturarlo longitudinalmente. È possibile avere rapporti sessuali dopo circa un mese dall’intervento

IDROCELE

Definizione ed Eziologia
L'idrocele, è una raccolta di liquido all'interno dei due foglietti della vaginale propria (sottile membrana che riveste il testicolo e l'epididimo) o lungo il funicolo spermatico.
Ne esistono di due tipi: idrocele primario e idrocele secondario.

L'idrocele è comunemente congenito e nella maggioranza dei casi primario. Può colpire uno solo o, più raramente, entrambi i lati.
L'idrocele quando non è congenito si sviluppa più comunemente come patologia secondaria in individui adulti.

Cause

Le cause dell'idrocele primario sono sconosciute; generalmente è una patologia congenita che si sviluppa quando il dotto peritoneo vaginale, cioè il condotto che unisce la cavità addominale con lo scroto (condotto attraverso il quale il testicolo scende nella sua collocazione durante lo sviluppo del feto) non si richiude una volta avvenuto il passaggio del testicolo; in questo modo il fluido peritoneale scende e si raccoglie nello scroto attraverso il dotto rimasto aperto.
L'idrocele secondario può essere causato da ernia inguinale, da infezioni o traumi del testicolo o dell'epididimo, da occlusioni di fluido o di sangue nel funicolo spermatico, da cisti o tumori.

Segni e Sintomi
Il sintomo principale è un rigonfiamento non doloroso di uno o entrambi i lati dello scroto, che si presenta spesso turgido e pieno di fluido. Generalmente è difficile sentire il testicolo per via della massa fluida che lo circonda.

Diagnosi 
Un attento esame obiettivo accompagnato da trans illuminazione scrotale, può essere sufficiente a porre diagnosi. La diagnosi può essere confermata con ecografia scrotale.

Terapia
Il trattamento dell’idrocele primario congenito è chirurgico e consiste nell’intervento di chiusura del dotto peritoneo vaginale.
L'idrocele secondario a un processo infiammatorio cronico, invece, viene trattato tramite drenaggio chirurgico ed eversione della tonaca vaginale per facilitare il riassorbimento delle recidive.

INFERTILITA' DI COPPIA

Definizione

Una coppia viene definita infertile solamente quando non giunge a concepimento dopo un anno di rapporti completi, continuativi, ed in assenza di misure contraccettive

Epidemiologia
Si stima che negli Stati Uniti siano presenti circa sei milioni di coppie infertili. In termini epidemiologici si considera che nel 50% delle coppie infertili il contributo sia prevalentemente femminile, nel 30% prevalentemente maschile e nel 20% dei casi ci sia una combinazione tra contributo maschile e femminile. In termini nosologici, si distinguono due tipologie di infertilità: una infertilità primaria (caratteristica di quelle coppie che non abbiano mai concepito) ed una infertilità secondaria (quando si sia già verificato nella coppia un concepimento esitato in un parto a termine, un aborto ovvero una gravidanza ectopica).

Fattori di rischio
Si distinguono tre tipologie di cause:

  • Cause pre-testicolari: Si tratta di patologie che agiscono sul sistema endocrino maschile, a livello superiore, causando squilibri ormonali. Si è soliti distinguere le cause pre-testicolari in ipotalamiche ed in ipofisarie.
  • Cause testicolari: Insulti testicolari che agiscono alterando la funzionalità interna del sistema esocrino e/o endocrino maschile (es. criptorchidismo, varicocele, torsione testicolare, anomalie cromosomiche).
  • Cause post-testicolari: Ostruzione meccanica od estrinseca a carico dei dotti deferenti od eiaculatori che impediscono agli spermatozoi di uscire all’esterno.

Tra le cause citate riveste particolare interesse il varicocele, in quanto è una delle cause di infertilità maschile maggiormente curabile grazie alla chirurgia ed è una causa molto frequente in quanto viene riscontrato nel 15% dei ragazzi in età puberale in buona salute e nel 20-40% dei ragazzi infertili. Può portare, se grave, ad un atrofia testicolare. Va sempre corretto nei ragazzi giovani, anche se non ancora in età riproduttiva, per evitare l’atrofia testicolare e successivi problemi di fertilità. Si discute tuttora sul razionale di correggere il varicocele nei ragazzi, in cerca di paternità, di età superiore ai 35 anni, ritenendo che il danno testicolare si sia, a tale età, estrinsecato e non sia possibile ottenere un miglioramento quali/quantitativo nel liquido spermatico.

Presentazione clinica
Come precedentemente descritto sarà sempre importante valutare entrambi i componenti di una coppia che non riesca ad arrivare al concepimento nell’arco di 12 mesi, in cui si svolgano rapporti sessuali in assenza di misure contraccettive. Ulteriori esami diagnostici ci indicheranno se la causa sia prettamente maschile oppure femminile.

Procedure diagnostiche

  • Spermiogramma: Esame fondamentale nella valutazione di un malato infertile. Le linee guida della Società Americana di Urologia (AUA) del 2001, raccomandano di sottoporre ogni paziente, infertile o presunto tale, ad almeno tre spermiogrammi distanziati da circa 20 giorni l’un l’altro. È importante che tali prelievi vengano eseguiti dopo, almeno 4 giorni, di astinenza da rapporti sessuali o masturbazione e lontani (almeno 20 giorni) da episodi febbrili acuti che hanno un effetto molto negativo sugli spermatozoi.
  • Profilo ormonale: Una valutazione del profilo ormonale è importante per la valutazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-testicolo, fondamentale al corretto funzionamento dell’apparato riproduttivo umano.
  • Diagnostica strumentale: (ecografia scrotale, PowerColorDoppler vasi spermatici): Solitamente tutti i pazienti valutati per infertilità di coppia vengono indirizzati all’esecuzione di un’ecografia scrotale con doppler per valutare il parenchima testicolare e per la diagnosi di un varicocele sub-clinico.

Terapia
Visto l’elevato numero di cause diverse, che si possono intrecciare l’un l’altra, alla base dell’infertilità maschile non esiste una terapia unica ma la terapia sarà orientata sulla base della causa principale. Come già detto è sempre importante correggere un varicocele nei ragazzi con meno di 35 anni.
Nel 25% circa degli uomini infertili non si riesce però ad identificare una causa certa della loro condizione (si parla di infertilità idiopatica); questi pazienti si possono giovare di un trattamento empirico. Solitamente si utilizzano antiossidanti ad alto dosaggio in quanto c’è una dimostrazione che nel 40% degli uomini infertili, si abbia la presenza di elevati livelli di specie reattive dell’ossigeno nell’apparato genitale. Vengono attualmente utilizzate la tiroxina, l’arginina, lo zinco, la bromocriptina, la vitamina A, B ed E. Non c’è dimostrazione, in studi controllati, di una vera efficacia di questi trattamenti. Il trattamento con queste sostanze aiuterebbe ad eliminare questi ossidanti prevenendo il danno ossidativo

INDURATIO PENIS PLASTICA O MALATTIA DI PEYRONIE

Epidemiologia e diagnosi
L’induratio penis plastica o malattia di Peyronie è una patologia che comporta una curvatura del pene, associata ad erezioni dolorose ed una eventuale riduzione della rigidità peniena distalmente al tratto interessato dalla patologia. Tale condizione è determinata da una placca calcifica a livello della tonaca albuginea che porta ad una curvatura del pene più o meno importante. Le cause sono incerte, si ipotizzano quali agenti i microtraumi che si possono verificare durante i rapporti sessuali o traumi di altra natura. Quando il pene è flaccido non vi è evidenza della patologia che tuttavia, in casi di deformità severa, può addirittura impedire il rapporto sessuale. La prevalenza è maggiore in uomini di mezza età, anche se non è infrequente riscontrare incurvamenti penieni anche in pazienti più giovani. La diagnosi viene facilmente posta osservando il pene in erezione, il quale può mostrare una curvatura ventrale, dorsale o laterale di vario grado. Alla palpazione è riscontrabile una formazione densa, fibrosa, generalmente a livello della linea dorsale mediana del pene.

Trattamento
Molti pazienti non hanno reale necessità di fare alcun tipo di trattamento poiché una volta stabilizzatosi l’eventuale incurvamento penieno, esso consente comunque di avere rapporti sessuali soddisfacenti. Se la malattia viene affrontata nella sua fase precoce, che dura tipicamente alcuni mesi, possono essere usati con un certo successo farmaci mirati a fare passare il dolore penieno ed a bloccare l’incurvamento; essi comprendono: colchicina, pentossifillina, tamoxifene, paraminobenzoato di potassio. La terapia fisica attraverso elettroiontoforesi, microiniezioni di farmaci intraplacca o l’utilizzo di onde d’urto può essere di aiuto anch’essa nella fase precoce della malattia. Se l’incurvamento penieno comporta la totale impossibilità di avere rapporti sessuali si può considerare un intervento chirurgico di raddrizzamento secondo una delle diverse tecniche oggi conosciute.


Si tratta di un incurvamento penieno che si manifesta durante dello sviluppo del maschio, tipicamente dopo i 14-16 anni. È più frequentemente diretto verso il basso o lateralmente e si associa ad una lunghezza del pene tipicamente elevata. Può avere severità più o meno accentuata.
La cura, se necessaria, è solo chirurgica tramite un intervento di raddrizzamento.


Definizione ed Eziologia
Il varicocele è una patologia varicosa che interessa il sistema vascolare del testicolo, caratterizzata da dilatazione ed incontinenza delle vene testicolari (o spermatiche) che hanno il compito di drenare il sangue dal testicolo. Si tratta di una malattia piuttosto frequente con un picco dell'8% tra i 10 e i 19 anni.
Colpisce il 15-20% della popolazione maschile ed è presente nel 30-40% degli uomini con problemi di fertilità.
Esiste anche il varicocele femminile, un’insufficienza venosa pelvica, caratterizzata dalla dilatazione delle vene ovariche che è causa di dolore pelvico cronico.

Sintomi 
I sintomi includono:

  • dolore sordo nel/i testicolo/i;
  • senso di pesantezza a livello scrotale;
  • fastidio al testicolo o in una parte dello scroto;

I segni più frequenti sono:

  • dilatazione venosa palpabile a livello scrotale.
  • testicolo omolaterale più piccolo rispetto al controlaterale.

È importante precisare che nella maggior parte dei casi non si hanno sintomi evidenti. Questi, se presenti, tendono a presentarsi con il caldo, dopo esercizio fisico, alla fine di un rapporto sessuale, oppure dopo un tempo prolungato in stazione eretta.

Diagnosi 
La diagnosi di varicocele è semplice e viene posta affiancando al reperto obiettivo (varicosità a livello testicolare) quello strumentale (ecografia testicolare e eco-color-Doppler dei vasi spermatici).
La persistenza di sangue venoso crea un’alterazione termica, metabolica e strutturale del testicolo con conseguente alterazione delle condizioni ideali per la crescita e la maturazione di Spermatozoi, la cui produzione è strettamente legata alle variazioni di temperatura.
È pertanto importante completare la diagnosi con l’esecuzione di uno spermiogramma per evidenziare eventuali alterazioni del numero di spermatozoi e/o della loro motilità e morfologia.
L’indicazione al trattamento della patologia viene data quando il varicocele è palpabile all’esame obiettivo o è associato ad alterazione della quantità e qualità degli spermatozoi, a dolore testicolare e quando ravvede la necessità di preservare la fertilità del paziente anche se quest’ultimo punto è ancora dibattuto.

Terapia 
Il trattamento d'elezione è di tipo chirurgico. Sono numerose le tecniche chirurgiche disponibili ma quella che offre maggiori vantaggi in rapporto ad una buona percentuale di successo, di minore invasività e rischi operatori è la legatura microchirurgica delle vene spermatiche. L'intervento dura in media 30 minuti e viene eseguito in regime di day hospital.
Il rischio di recidiva o di persistenza del varicocele è circa del 10%.

TUMORE DEL TESTICOLO

Epidemiologia
Il tumore del testicolo è una patologia relativamente rara, rappresentando circa l’1-1.5% delle neoplasie maschili e il 5% delle neoplasie urologiche nel loro complesso. Nella società occidentale, l’incidenza è circa 10 nuovi casi per 100.000 individui l’anno, con una curva di crescita epidemiologica continua negli ultimi trent’anni. Il tumore del testicolo interessa con maggiore incidenza i giovani adulti, e rappresenta il tumore più comune tra i 15 e i 35 anni.
Se ne conoscono differenti forme istologiche, con significativa prevalenza (95%) dei tumori definiti a cellule germinali (derivanti cioè dalla popolazione di cellule dei tubuli seminiferi finalizzate alla riproduzione) rispetto a tumori definiti di origine stromale (derivanti dalla restante popolazione di cellule del testicolo). I tumori testicolari germinali vengono poi suddivisi in seminomatosi o non-seminomatosi, classificazione istologica che riveste grande importanza in termini terapeutici.
Riconosciuti fattori di rischio per lo sviluppo del tumore del testicolo sono il criptorchidismo (presenza alla nascita di uno o entrambi i testicoli al di fuori del sacco scrotale ma lungo il normale decorso del testicolo dalla regione retroperitoneale e lungo il canale inguinale), la sindrome di Klinefelter, una familiarità per neoplasia del testicolo, un precedente tumore testicolare (nel 2-3% dei casi il tumore del testicolo può presentarsi simultaneamente o a distanza di tempo in tutti e due i testicoli) e l'infertilità maschile.

Diagnosi
Nella maggior parte dei casi il tumore si manifesta come la comparsa di un nodulo duro e indolente a carico di un testicolo; nel 10% dei casi è associato a dolore testicolare o a disturbi già ascrivibili a una sua localizzazione metastatica, e solo nel 5% dei casi si associa a ginecomastia (sviluppo della mammella maschile). L’auto palpazione periodica dei testicoli fin dalla adolescenza è pertanto raccomandata a tutti i ragazzi.
L’esame obiettivo da parte dello specialista urologo e l'esecuzione di un’ecografia scrotale permetteranno di eseguire una corretta diagnosi differenziale con altre patologie benigne dello scroto (epididimite acuta o cronica, idrocele, cisti dell'epididimo), aiutando a confermare la diagnosi di tumore testicolare.
La stadiazione del tumore del testicolo, cioè la determinazione delle sue caratteristiche e la sua estensione, avviene attraverso: 1) il dosaggio ematico di alcuni marcatori tumorali specifici e sensibili (α-fetoproteina e β-HCG); 2) l'orchifunicolectomia (asportazione del testicolo eseguita per via inguinale, che permette la rimozione del tumore primitivo e la valutazione istologica; e, 3) l'esecuzione di una TC torace-addome cmc, al fine di poter identificare la presenza di eventuali localizzazioni secondarie linfonodali o a carico di altri organi. Infatti le cellule tumorali del testicolo sono caratterizzate da una rapida crescita che comporta un elevato rischio di precoce disseminazione secondaria. Questa può avvenire per via linfatica, con coinvolgimento dei linfonodi retroperitoneali (situati a ridotto della parete posteriore della cavità addominale) oppure per via ematica, con la comparsa di metastasi in ordine di frequenza al polmone, al fegato e l'encefalo (raramente e tardivamente alle ossa).

Trattamento
A fronte di questa elevata attività biologica (il 30% dei tumori testicolari si presenta come malattia metastatica alla diagnosi), i tumori a cellule germinali dimostrano elevata sensibilità alla chemioterapia, e una ottima risposta ai trattamenti multimodali (chirurgia, chemioterapia, radioterapia); queste caratteristiche comportano un alto tasso di cura di questa malattia pari a circa il 99% negli stadi iniziali, e al 90%, al 75-80% e al 50% rispettivamente negli stadi avanzati definiti a “buona”, “intermedia” e “cattiva” prognosi.
L'istologia e lo stadio del tumore (localizzazione testicolare, interessamento dei linfonodi retroperitoneali o metastasi in altre sedi) determinano l'iter terapeutico successivo all'orchifunicolectomia (radioterapia, chemioterapia o rimozione dei linfonodi retroperitoneali) e il conseguente follow-up.
L'alto tasso di sopravvivenza e la lunga aspettativa di vita dei pazienti hanno determinato nella cura di questo tumore una sempre maggiore attenzione verso le conseguenze precoci e tardive del trattamento oncologico, soprattutto in relazione alla preservazione della funzione riproduttiva e del benessere globale dell'individuo (tecniche selettive di radioterapia, riduzione di dose per la chemioterapia, tecnica nerve-sparing per la linfoadenectomia retroperitoneale, crioconservazione del liquido seminale).

TUMORE DEL PENE

Epidemiologia
Il tumore del pene (TP) è un raro carcinoma a cellule squamose che origina nell’epitelio del prepuzio e del glande. Il TP ha un'incidenza di circa 1 caso su 100 000 uomini in Europa e U.S.A; rappresenta invece fino al 10-20% delle patologie maligne in paesi come India, Brasile ed Uganda. L’incidenza del TP cresce all’aumentare dell’età (fascia maggiormente colpita: 60-70 anni).

Fattori di rischio

I maggiori fattori di rischio sono la fimosi (restringimento prepuziale), una scarsa igiene locale, il fumo, una storia sessuale di molti partner o di primo rapporto sessuale in età molto giovanile, trattamenti con raggi UVA, presenza di condilomi e condizioni di infiammazione cronica quali ad esempio balanopostiti, lichen sclerosus e atrofico (balanite xerotica obliterante). È inoltre comprovato che l’HPV (human papilloma virus), soprattutto di tipo 16 e 18, è responsabile della trasmissione di verruche genitali, condilomi acuminati e carcinomi squamocellulari; lo si riscontra nel 40-50% dei casi di TP ma sono necessari altri cofattori per passare da uno stadio di semplice infezione virale locale a presenza di tumore e, inoltre, la presenza di HPV nel TP non ne peggiora la prognosi. La circoncisione in età prepubere è un fattore protettivo che riduce il rischio di TP di 3-5 volte.
In più del 95% dei casi il TP è quindi un carcinoma a cellule squamose, spesso preceduto da lesioni premaligne; i melanomi maligni del pene e i carcinomi a cellule basali sono invece molto più rari. Le lesioni premaligne si suddividono a loro volta in quelle meno frequentemente associate al successivo sviluppo tumorale (verruca cutanea, balanite xerotica obliterante, lichen sclerosus ed atrofico) e in quelle ad esso più frequentemente associate (neoplasia penile intraepiteliale, eritroplasia di Queyrat, malattia di Bowen). La presentazione clinica del TP è variabile (lesione ulcerata, esofitica, papula), tipicamente non dolente e con insorgenza, in ordine decrescente, su glande, prepuzio, solco coronale, asta. Le metastasi sono preferenzialmente linfonodali, quando a distanza colpiscono fegato, ossa, polmoni.

Diagnosi

La diagnosi del TP si basa innanzitutto su un accurato esame obiettivo dei genitali esterni, volto a verificare: numero, sede, dimensioni e morfologia (papillare, nodulare, ulcerosa o piatta) della/e lesione/i peniena/e; rapporti con le strutture adiacenti; colore e margini della lesione; lunghezza del pene. È necessario quindi un prelievo bioptico della lesione per avere la certezza istologica della tipologia della stessa e poter proseguire col trattamento più adeguato. Una risonanza magnetica del pene in erezione, ottenuta tramite iniezione locale di prostaglandina E1, è utile per valutare l’eventuale invasione dei corpi cavernosi da parte del tumore. Altro aspetto di rilievo è la palpazione dei linfonodi inguinali, prima sede di eventuali metastasi. In assenza di anomalie palpatorie, un’ecografia può aiutare a riscontrare eventuali linfonodi anomali e può essere utilizzata anche come guida per una biopsia con ago aspirato. Qualora si riscontrino linfonodi inguinali ingrossati, l'esame TC, la risonanza magnetica e la PET-FDG sono esami utili per indagare la presenza di metastasi linfonodali pelviche e di eventuali metastasi a distanza. In pazienti metastatici e sintomatici, è indicata la scintigrafia ossea.

Trattamento

Il trattamento del TP primitivo è il più conservativo possibile tenuto conto delle dimensioni, della localizzazione e del rapporto coi tessuti circostanti. Fondamentale nel trattamento chirurgico è l’ottenimento di margini di resezione indenni da patologia, al fine di evitare recidive. Si spazia quindi da resezioni minime chirurgiche di malattia (effettuabili anche con tecniche alternative quali laserterapia, crioterapia) a resezioni sempre maggiori, quali glandulectomia, amputazione peniena parziale (se invasi i corpi cavernosi) e totale (se invasa l’uretra). Nel caso di malattia ulteriormente invasiva, la terapia prevede una chemioterapia neoadiuvante e, nei pazienti responsivi, un successivo intervento chirurgico. Nelle malattie avanzate e metastatiche, la terapia è la chemioterapia palliativa. La radioterapia è sia un’alternativa possibile per lesioni limitate (<4 cm) che un’ulteriore possibilità palliativa. La linfoadenectomia inguinale e/o pelvica, monolaterale o bilaterale, si effettua in caso di positività o sospetta positività dei corrispettivi linfonodi.